martedì 30 giugno 2015

Ricordi napoletani...il lotto...i numeri..l'umanità.

Ricordo quando da piccola accompagnavo mia zia a "giocare i numeri"...quando ancora non esistevano le macchine elettroniche, schedine e computer ed i numeri venivano annotati su di un biglietto doppio ( di un verdino sbiadito tendente al giallo, ma forse era semplicemente un bianco sporco) su cui la mano veloce del "bigliettaio" nella ricevitoria al Vomero (quartiere collinare di Napoli)  in cima alla ripida scala scriveva numeri incomprensibili quasi più simili ai geroglifici preistorici che a veri e propri numeri...In fila ognuno teneva il proprio biglietto gelosamente custodito perchè "sia mai" qualcuno sbirciasse i propri preziosissimi numeri, il "Non ti pago " di Edoardo De Filippo scorreva nelle vene degli "scommettitori" come sangue e quel piccolo biglietto di carta con quei segni racchiudeva speranze, dolori ( è usanza a Napoli giocarsi i numeri delle date di chi muore, per esempio), tradizioni ataviche e qualche volta storie rocambolesche e divertenti. Ottenuta la ricevuta, si ritornava a casa, come custodi di qualcosa di prezioso e il lume del comò, imponente e pesante fungeva da semplice fermacarte di quel biglietto piccolo e sottile ma carico di aspettative e speranze!
Al mattino, in casa delle mie zie, era un raccontarsi con foga i sogni fatti per poi spulciare sulla smorfia napoletana eventuali significati a cui abbinare i numeri...E capitava che la zia vincesse, piccole somme, ma tutte le volte era un prodigarsi di regali ai nipoti, alle sorelle, ai vicini di casa...si divideva la vincita...una vincita partecipata come quando a Natale l'ambo, il terno, la tombola vinta dalla zia di quelle 10, 20, 50 lire, finiva nelle tasche dei nipoti al momento dei saluti.
Ci sono piccoli spaccati di una quotidianità fatta di riti, di vita vissuta, di scambi di sensazioni e di emozioni che sono indelebili, il cui ricordo evoca un passato intriso di una umanità desiderosa di condividere, di comunicare, in cui la corsa al gioco non era fine a se stessa, ma rappresentava un mondo, quello del dopoguerra napoletano, in cui tentare la fortuna era diventato un lusso...quelle 200, 300, 500 lire, spesso anche 1000, era un modo per le generazioni passate  per esclamare "Ricominciamo a vivere!" e quello che la sorte ci ha fatto subìre senza il nostro consenso, quella guerra, quelle bombe, quel correre alla sirena assordante e angosciante per nascondersi in qualche sotterraneo, quel rincorrere quella medicina e pagarla il triplo del suo reale valore, quel dividersi quel piatto di pasta e mangiare una volta al giorno, non per mantenere la linea ma per mantenersi in vita, era un modo per investire nei propri sogni e gridare al mondo che la guerra era solo un brutto ricordo...
Mia zia qualche volta vinceva al lotto...ed in quella busta tutta "mappocciata" consegnata al bancone lungo e pieno di vetrate del Santuario di Pompei sono custodite le sue vincite in cambio di preghiere e messe...quando i soldi non erano il fine ma solo un modo per essere più generosi ed anche un modo per fare del bene....!

mercoledì 24 giugno 2015

I genitori non hanno pezzi di ricambio ed i figli non sono pezzi assemblati.

Avere due bambini piccoli significa farsi una cultura cinematografica di film di animazione che manco il miglior esperto cinefilo può immaginare nelle fantasie più utopistiche! E così vedi e rivedi, schiaccia e rischiaccia il tasto "play" che alla fine oltre che imparare a memoria tutte le battute dei personaggi preferiti dai tuoi bimbi, catapultata in una dimensione "altra" fino ad avere allucinazioni notturne di Toy o di Maleficent ti sovvengono delle riflessioni che forse forse tutto hanno fuorchè elementi allucinatori.

Vedevo Rio, il cartone ambientato nella foresta amazzonica i cui protagonisti sono due adorabili uccelli blu in via d'estinzione e la loro dolcissima storia d'amore.

L'uno cresciuto in cattività, in gabbia a contatto con gli esseri umani, l'altro invece in piena libertà, alla  maniera selvaggia, così come si confà alla sua natura.

E pensavo che in fondo anche noi esseri umani, avendo uno spirito adattivo molto sviluppato, se ci fanno nascere in un ambiente che poi in fondo non è il nostro naturale ci adattiamo, ci adeguiamo, riusciamo a trovare mille risorse che possano rispondere ai nostri bisogni più reconditi e più atavici.

 Basti pensare a Mowgli del Libro della giungla, che in fondo non è che la rivisitazione del buon vecchio Tarzan. Questi sono solo frutto di fantasie ma si ricordi ad esempio la storia uscita nell’aprile del 1988 in cui la stampa italiana riportava il caso di Werner, un bambino di quattro anni allevato a Düsseldorf da un cane, ragion per cui annusa, mugola e mangia come tale. Lo stesso faceva il bambino delle colline trevigiane, lasciato solo per lunghi periodi.. Molti altri casi sono stati annoverati nel libro di L. Manson (I ragazzi selvaggi, Milano 1971) e dalla stampa in riferimento alla Romania e all’Estonia; qui nel 2011 la polizia prese in custodia quattro bambini che i genitori alcolizzati avevano cresciuto insieme ai loro quadrupedi. Come Tarzan, altri bambini sono stati allevati dalle scimmie, seppur con risultati molto meno felici per il loro sviluppo mentale e fisico. Un documentario della RAI fu girato nel 1984 su Baby Hospital, la bambina della Sierra Leone allevata da una tribù di scimpanzé, ricoverata poi in un ospedale. Quando l’hanno trovata, Baby Hospital aveva i capelli lunghi, non sapeva parlare ma solo emettere gridolini, né camminare eretta. Venne rinchiusa in una stanza, come un animale ridotto in cattività. Ha poi imparato a nutrirsi, ma non sa né sorridere, né usare le mani. Altri casi sono stati raccolti da Anna Ludovico, secondo la quale sono circa cinquanta quelli studiati fino ad ora di bambini che hanno vissuto in ambiente selvaggio. ( cit. http://www.larondine.fi/cultura/un-secolo-di-tarzan.html)

Cade così la teoria dimostrativa che se i bambini sono abituati a vivere in un ambiente in cui ci sono due mamme e due papà non sentiranno mai la mancanza dell'una o dell'altra figura. Non la sentiranno non perchè una mamma ed un papà possono essere sostituiti a dovere ma semplicemente perchè in fondo il ruolo è stato sostituito deliberatamente da due adulti da un altro prototipo scelto apposta per loro, in cattività. Cade perchè se ai bambini neghi la possibilità di conoscere il proprio papà o la propria mamma il sentimento di mancanza è viziato dalla negazione di una realtà sostituita da un'altra offerta che è l'unica che i bambini figli di coppie dello stesso sesso conosceranno. E' una teoria che non sta in piedi, se al bimbo non fai mangiare mai la cioccolata è ovvio che non te la chiederà mai, non conoscendola.

Il dibattito sulla genitorialità come diritto degli adulti è  molto acceso in Italia e l'impressione che mi sono fatta è quella che si parla di diritti di tutti eccetto dei diritti dei bambini. Io sono dell'idea che i genitori non abbiano pezzi di ricambio e che tutti i riempitivi possibili, le sostituzioni possibili non potranno mai rimpiazzare quello che la natura ha riservato per tutti, ossia nascere da una mamma e da un papà.

Sono dell'idea che l'amore non è solo sentimento ma anche impegno, progetto di vita, sacrificio, rinuncia, per la felicità dell'altro anche quando significa rinunciare ai propri diritti per far spazio ai diritti dei più deboli. E non vi è nessuno di più debole di un bambino nel grembo materno che non ha voce. Io non mi opporrò mai a due persone che si amano a meno che queste due persone non chiedano al bimbo che concepiscono non per natura ma comprandolo o affittando un utero di una donna o concependolo nella fredda provetta di un laboratorio chimico, di rinunciare ad una mamma o ad un papà o peggio ancora ad essere selezionati in base alla loro "bontà" genetica ( ma questo merita un discorso a parte).

L'ipocrisia di questa concezione di vita in cui i figli sono un diritto sta nel non permettere che un figlio rinunci al viaggetto a Cuba, che rinunci al cellulare ultimo grido o alla migliore istruzione o allo sport dopo la scuola o...o...o... ma si permette  che questi bimbi, non già nati, ma da concepire, rinuncino al diritto naturale di avere una mamma ed un papà. Non lo trovo giusto. I genitori non hanno pezzi di ricambio. L'amore non credo sia questo.
 Questa è un'emozione di chi vuole vivere una genitorialità ad ogni costo anche se il prezzo da far pagare lo si fa pagare al bimbo che si progetta. Chi è veramente genitore è disposto anche a rinunciare a questa grande emozione per non veder monchi di una parte di cuore i propri figli. 

Sentire il bisogno di riversare su un figlio l'amore che si ha da donare non significa amare il figlio. Il figlio lo si ama quando per il suo bene, e unicamente per quello, si è disposti a mettersi da parte, a rinunciare ad un proprio diritto per far spazio al benessere totale del figlio. Il fatto che l'essere monchi  di un padre e di una madre, non si veda ad occhio nudo, come lo si può vedere l'essere monchi di un braccio o di una gamba, non significa che il figlio non soffra di una sottrazione che gli è stata fatta già nel progettarlo, già nel concepirlo. L'essenziale è invisibile agli occhi, anche quando questi occhi appartengono ai genitori che "programmano" il figlio. 

Nessuno mette in dubbio il fatto che due persone dello stesso sesso possano amare un figlio allo stesso modo se non di più di coppie da cui il figlio per natura nasce da una mamma e da un papà. 

Il punto non è questo. 

Il punto è perchè progettare di far nascere un bambino senza una mamma o senza un papà che per natura gli sono stati donati allo stesso modo come gli sono stati donati gli occhi, le braccia, le gambe, il cuore? 
Non è forse egoismo chiudere un uccello in gabbia prospettandogli una realtà che non è la sua, quand'anche questa fosse dorata, facendogli credere che quella gabbia sia tutto il suo mondo precludendogli la sua stessa natura di essere vivente nato dall'incontro di un maschile e di un femminile?

La vita è un miracolo, i figli sono un dono, e per quanto la nostra mente possa concepire il miglior mondo possibile per i nostri figli, il miglior mondo per loro lo si comincia a costruire rispettando, accogliendo, amando una vita diversa da noi, lontana mille miglia dai nostri progetti, un essere da scoprire, da accudire, da curare, ma soprattutto da considerare come persona e non un involucro in cui riversare i nostri desideri o capricci...

Il vero "diverso" da rispettare è proprio quel bambino che noi accogliamo e di cui siamo responsabili sin dal suo concepimento. Lui non ha voce, è in balìa di chi in quel momento lo stringe al cuore, tra le braccia, di quella mamma e di quel papà anch'essi partecipi di un miracolo naturale scaturito dall'amore e dal progetto di famiglia che ha permesso a quel bambino di affacciarsi alla vita. Un miracolo così grande che nessuna mente umana sarebbe in grado di progettare così alla perfezione nello stupore della scoperta che un neonato può regalarti. 

La natura un giorno ci chiederà conto del nostro intervento nei miracoli che solo lei è in grado di fare, e così come la terra si sta ribellando alle violenze che nei secoli le abbiamo imposto ci chiederà il conto, il cui prezzo, io da mamma, preferirei pagare in prima persona ma mai far scontare ai miei figli.

Nel rivedere Rio mi continuerò a chiedere: e se quell'uccello fosse nato non in una gabbia ma nella sua foresta avrebbe potuto forse essere più felice? ... Tutti hanno diritto alla felicità, ma se questa felicità mia di oggi può significare una sottrazione ai miei figli domani, e non solo in termini di affetto e di amore, ma anche in termini culturali, sociali, di tappe fondamentali di costruzione della propria identità e personalità, di bisogni personali, io a questa felicità ci rinuncio volentieri. 

I figli si accolgono, non si programmano; i genitori non hanno pezzi di ricambio ed i figli non sono pezzi assemblati. 

lunedì 15 giugno 2015

Premio Hystrio alla vocazione 2015 premia i giovani talenti: Andrea Cioffi


Quando l'amore per il teatro si trasforma in premio è perchè qualcuno  ama a tal punto il palcoscenico da non poter non offrire occasioni di visibilità, inserimento professionale e formazione approfondita a qualche giovane che ha intrapreso i primi passi calcando quelle tavole di legno come si fa con le tavole da surf in cui l'irruenza ed imprevedibilità del mare ha assonanza con le varie anime che prendono vita su quel palcoscenico e che sono un ponte tra la realtà e l'immaginazione, tra il proprio cuore e chi li osserva, tra la propria passione e la passione del pubblico. Così nel 1989, Ugo Ronfani, fondatore della rivista Hystrio, decide di fornire una grande opportunità alle nuove generazioni di attori che danno forma e stile alla propria anima chiamata ad incarnare quell'umanità che osservata sotto i riflettori del palcoscenico assume quell'aspetto catartico che rende il pubblico protagonista delle interpretazioni di ogni singolo attore, chiedendosi talvolta se vi sia davvero un confine tra la propria anima e quella dell'attore che in quel momento sta forgiando finemente per renderla tangibile e visibile.

Il Premio Hystrio alla vocazione 2015 vede candidati giovani attori uniti dall'amore per il teatro in cui il Teatro non è un hobby, non un passatempo, non una mestiere...bensì la risposta ad una chiamata: la propria vocazione di attori!


Personalmente ho il privilegio di conoscere uno dei candidati al suddetto premio, di aver visto gli albori della sua chiamata, le cadute, i successi, le sofferenze, la fatica, la gioia, l'allegria che hanno costellato la strada che sta percorrendo non senza dubbi nè perplessità ma con la forza che solo chi ha ben chiaro l'obiettivo del proprio impegno sa fare. Eccone una breve biografia...e qualora vincesse il premio, Andrea mi ha promesso un'intervista...( io come minimo mi sarei aspettata che mi offrisse un caffè...)




Andrea Cioffi nasce il 2 Maggio 1990. E le prova veramente tutte. Dopo aver tentato la strada del fumettista, con scarso successo, si dedica al teatro e alla drammaturgia, con maggiore serietà. Diplomato alla Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova, prosegue la carriera di attore tra cinema e teatro, parallelamente a quella di drammaturgo, debuttando con i testi da lui scritti “Il Lago degli struzzi” e “Il canto del cuculo”. Qualche malizioso alluderà ad una sua passione malcelata per gli uccelli. Non starà qui a raccontare tutte le sue rocambolesche avventure in cui per stilare un curriculum non basterebbero quattro soffici rotoloni di carta igienica Regina, non racconterà neppure di quella volta, nel giugno 2014, in cui ha lavorato con Giorgio Gallione e Claudio Bisio, per Father and Son, né di quando, nel maggio dello stesso anno ha firmato la regia di Othello, un progetto di integrazione razziale, sul testo di William Shakespeare. No va’, oppure di quando ha lavorato con Ambra Angiolini.... né, tantomeno, di quando lo trovarono nudo, danzante a quella festa che… di questo non parla davvero... Nell’autunno 2014, durante l’impegno a teatro con Gigi Savoia, per “Ditegli sempre di sì” nasce Giannano. Personaggio di fantasia, già presente nelle allucinazioni dell’autore e presto, mi auguro, nelle vostre. Storie di un papà alle prese con un figlio speciale...
Foto pubblicata su facebook dalla pagina ufficiale del Premio Hystrio
Con una fucina di progetti in pentola, che da buon napoletano per scaramanzia ancora tiene sotto il coperchio, concorre per l'assegnazione del Premio Hystrio 2015...
Attualmente Andrea Cioffi è nelle sale cinematografiche  con il film di Enrico Iannaccone "La Buona Uscita" ed a teatro con la Compagnia di Luca De Filippo.


domenica 14 giugno 2015

Napoli non è solo Gomorra, Napoli può essere molto peggio…i lucky men partenopei!

Ha il colletto della polo sempre alzato, abbronzato di quel dorato preso sulla sua barca stramilionaria che usa 15 giorni all’anno al massimo ( perché l’estero rimane una delle sue mete vacanziere preferite, se non altro perché così può raccontare le proprie gesta eroiche di aver fatto 16 ore di aereo, di aver mangiato uno schifo sull’aereo, di avere avuto una gastroenterite che manco la protagonista de:"L’esorcista" potrebbe lontanamente immaginare e che l’anno prossimo si cambia compagnia aerea…però il mare…il sole…eh, tutta ‘nata cosa!) dicevamo, quella barca che farla giacere nella darsena per tutto il resto dell’anno gli costa di più che gettarla a mare, sorriso bianco da dentiera che manco Jim Carrey arriverebbe a tanto dopo nemmeno diciassette sedute di sbiancamento professionale dal dentista…il cellulare ultimo grido, che poi in fondo a gridare è solo il conto in banca, una donna accanto sempre parruccata, estetizzata, botulinizzata e, super impegnata in tutto fuorchè in attività che richiedano vero impegno in cui osservare il colore di capelli della gente per strada richiede un impegno pari ad una mini laurea presa alla CEPU ( Capelli e Parrucco Universali) …intento a prestazioni competitive in qualsiasi sport, sci, golf, tennis, tanto che in fondo non si capisca bene ancora cosa gli piaccia davvero; ama gli animali, solo se a debita distanza o meglio se guardati solo in foto; si sente femminista perché qualche volta armato di cucchiarelle di legno, cappello da cuoco e grembiulino con sopra ricamato” sono il re della cucina” prepara piatti paragonandosi al Cracco di turno, perché in fondo far cuocere la pasta gli richiede impegno , arte, concentrazione…La sua fede è credersi bello, sempre, comunque, nonostante l’età, i falsi acciacchi e lo specchio. La fede, si sa, fa miracoli!. Scommette su tutto, cavalli, schedine, nel gioco delle carte, ma in fondo non scommette mai nulla, scommette su tutto, se sono soldi in palio o ostentazioni di qualche virtù nascosta ancora meglio, fuorchè rischiare e scommettere con la propria vita ( non biologica ovviamente si intende!), senza mai mettere in gioco se stesso davvero, rimanendo incatenato ed imprigionato nei suoi schemi, nelle sue comodità, nel suo recinto, in quei comodi clichè in cui una sfida della squadra di calcio  del cuore rimane l’emozione più grande degna di trattati di fiumi filosofici di sti'cazzi( poi magari se gli chiedi qualcosa di politica gli prende un attacco di stitichezza fonetica)non sapendo manco chi sia l'attuale presidente della Repubblica...!. Qualche volta il suo portafogli si apre non solo per vernissage, aperitivi, feste ed eventi mondani….qualche volta si apre per far del bene, per donare ai meno fortunati, a quelli ai quali la solidarietà mondana darà eco per qualche giorno…ma solo per esaltare la grande magnanimità del tipico alto-borghese napoletano che per non apparire troppo cafone condisce il dialetto napoletano con accenti vomeresi o posillipini ( i cosiddetti “chiattilli” ,che manco un milanese riuscirebbe a snaturare e storpiare così bene il vero dialetto napoletano!) . Ha un ego ipertrofico ed ogni occasione è buona per lustrare il proprio individualismo, i suoi amici lo adorano, ha un seguito di amici fedeli pronto ad applaudirlo in tutto considerandolo un fenomeno, anche se fa una scorreggia( con due "r", è più onomatopeica!), la sua è profumata! Lo trovi “giù Napoli” solo per sorseggiare un caffè al Gambrinus, (lì oltre ai turisti ci va la “genteperbene”) o fare la capatina annuale da Marinella ( alle mutande ci pensa la moglie, la compagna, la mamma e qualche volta la tata)…Lui odia la camorra, odia Napoli, ma non come città, Napoli è la città più bella del mondo, ma per la munnezza ra’ gente che vi ci abita…odia il pizzo, il ricatto, la violenza…eppure conosce l’amico dell’amico che non esiterebbe a fare una raccomandazione al nipote della cognata per quel lavoro ai vertici della “Napoli bene”… cede continuamente, a volte inconsapevolmente, al ricatto morale del “pare brutto, gli devo un favore”; che all’amico non fa pagare la visita medica, ma che al poveraccio dice “ purtroppo è il sistema sanitario nazionale, ahimè è necessario pagare”!, che in ospedale ci lavora tizio caio e sempronio e che ci parlo io che ti faccio fare un trattamento di favore, che conosco uno che l’assicurazione dell’auto te la fa pagare meno…perché quei soldi che mi fai risparmiare poi me li brucio alla prossima festa con una bottiglia di Champagne…perché fa più fine e non impegna cagare i soldi piuttosto che rispettare le regole di una società nei confronti della quale si prova un profondo disprezzo…è a favore dell’amore, sempre e comunque poi, sì, sì, sì, sì ai matrimoni omosessuali, adozioni gay, ma quanto ridere del familiare  che ha tendenze gay, che il “viva i gay” gli legittima anche il ridergli alle spalle e farne oggetto di ridicole battute e psicologia da bar per masturbarsi la mente per una serata  in compagnia in cui i" ricchioni" sono banditi, ma con classe ed eleganza,( che i gay si guardino bene non solo da chi hanno dietro ma soprattutto da chi si trovano davanti!) .

E così qualcuno ci ha pensato bene di farci sopra una trasmissione che dia lustro a questa Napoli, che non conosce Brian Eno manco a pagarla, che è abituata a leggere il cartellino dei prezzi piuttosto che un libro o quotidiani, a meno che non si tratti di necrologi o di qualche amico arrestato di cui si parlerà per secoli nei salotti baroccheggianti che sembrano essere le succursali del museo archeologico nazionale. Uno spaccato che rispecchia la morfologia della città…in cui vi è una via Toledo piena di lustro, luccichiì ed arte che non appena giri l’angolo ti ritrovi nei quartieri spagnoli in cui uscire nudo dall’altra parte della strada senza scampo e via d’uscita è la cosa meno peggio che possa capitarti in cui le luci del brilluccichìo di via Roma potrebbero abbagliarti a tal punto da farti così male tanto quanto male potrebbe essere lasciare il motorino parcheggiato nel covone di Santa Lucia!

Se questa è la risposta a Gomorra io dico che siamo ancora molto lontani dalla realtà…che non si risponde alla merda con altra merda, nemmeno se la si ricopre d’oro.

Una città che prima di essere divisa in quartieri, strade, vicoli, viuzze ed edifici, è divisa a schemi come i quadrilateri militari dei romani, in cui il perimetro e le delimitazioni sono invisibili perché sono tracciati e tatuati nella mente dei napoletani, che ti catalogano e ti sanno collocare nello schema giusto al semplice suono di un accento prima ancora che dal conto in banca o dalla zona a cui appartieni. E la solitudine dei napoletani è quella di essere incasellati in categorie ed in etichette che nulla hanno a che vedere con l’identità personale…perché o fai parte di un gruppo oppure “nun sì nisciuno”…



Ma Napoli è la mia città…”tra l’inferno e il cielo… …”(cit. Pino Daniele) e questa rabbia profonda che mi porto dentro nei confronti di questa ipocrisia così dannatamente camuffata da perbenismo mi lacera nel cuore…perché Napoli non è quello che fanno vedere…perché Napoli è molto di più e non può essere ridotta ad un confronto tra diversi modi di vivere che sono diversi solo in apparenza, accomunati dallo stesso disprezzo che assume solo abiti diversi che proviamo gli uni per altri in cui l’orgoglio napoletano esce allo scoperto solo negli stadi di calcio oppure quando si vuole fare scudo contro i pregiudizi settentrionali che spesso schifano noi del sud, noi terroni, noi meridionali in misura molto minore rispetto a quanto ci schifiamo tra di noi, …..napoletani di Napoli…di “Napoli, Napoli” perchè qualche donnina con la puzzetta sotto il naso direbbe che gli altri, quelli che esulano dalla vista di San Martino in giù, non sono manco da considerarsi di Napoli....quelli so'terra terra, quelli sò cafoni!



venerdì 12 giugno 2015

L'organizzazione del tempo come gestione dell'ansia.


Avere in pugno il tempo è perdita dello stesso se non lo si orienta in spazi da rispettare.













E'risaputo che l'ansia sia un'emozione che ha due facce: l'una positiva quando ci si predispone naturalmente ad affrontare una qualsiasi situazione nuova, che genera quella tensione necessaria per convogliare tutte le forze e le energie per predisporci ad affrontare l'evento. L'altra, invece, negativa, che ci vede in preda a confusione mentale, angoscia, disorientamento, destabilizzazione. Tempo addietro visitando dei pazienti autistici gravi  in una casa di cura, rimasi molto colpita da un metodo utilizzato per la loro gestione del tempo che lenisse in qualche modo le loro ansie: ognuno di loro aveva sopra il letto un calendario scandito con orari, attività da svolgere in orari e tempi prestabiliti accompagnati da una loro foto che ritraeva loro stessi intenti a svolgere quella determinata attività. Mi fu spiegato dagli esperti del settore che questo metodo aiuta a visualizzare i compiti da svolgere nel quotidiano e che il fatto di averli costantemente sotto la loro vista leniva loro tantissimo quell'ansia "da prestazione" perchè erano coscienti e consapevoli di ciò che stavano affrontando. Ho sempre sostenuto che l'improvvisazione e la precarietà siano caratteristiche dei tempi adolescenziali in cui l'imprevisto non è schivato anzi è anelato e rappresenta il sale della vita e la routine prestabilita può apparire noiosa e triste. Di contro, crescendo, maturando e confrontandomi con gli impegni quotidiani, le cure costanti che richiedono i figli, con gli umori dei capi e dei colleghi di lavoro, con la burocrazia lunga ed incostante, con la precarietà dei contratti, con gli imprevisti relativi alla salute, ho capito che è necessario non fare della imprevedibilità una regola di vita. Ossia, è fondamentale organizzare la propria giornata, le proprie vacanze, ed il proprio lavoro includendo sì certo la variabile dell'imprevisto ma non "vivendo alla giornata" in balìa degli eventi, rispettando la tabella di marcia prefissata, gli orari degli appuntamenti previsti, il budget che si è riservato a disposizione di qualche spesa, addirittura programmare il proprio tempo libero per non cedere alla tentazione di un'accidia stancante e non di certo rigenerante. Quando decidiamo di vivere così, un pò come viene è come se dicessimo "saliamo sul carro ma facciamoci trasportare dai cavalli". Non credo sia così, non credo debba essere così. Organizzare la giornata significa dare il giusto valore al proprio tempo, rispettare le persone che ci circondano includendole nel tempo da vivere assieme e non assoggettandole alle nostre ansie o peggio ancora umori, programmare le energie, dosando i nostri punti di forza e di debolezza. Vivere il presente con un orientamento non di certo rigido ma nemmeno così labile da doverci indurre a delegare il nostro potere di imprimere un movimento alla nostra vita, essendo questa già socialmente altalenante per fattori che esulano dalla nostra volontà non può che essere un atteggiamento costruttivo. Tutto parte dal concetto di realtà e da come riusciamo ad esserne presenti e realistici per non incorrere in ansie dovute a frustrazioni relative alla nostra personale concezione della realtà che scava scava non ha nulla a che vedere con la realtà stessa. E' per questo motivo che induco sempre i miei allievi ad acquisire un proprio metodo di studio personale, scandire i ritmi, i tempi di studio, consigliare loro un riposino post-prandiale per evitare che il sonno possa essere d'ostacolo allo studio pomeridiano, dosare le proprie forze e perchè no, anche lasciarsi degli arretrati sapendo che vi sarà dedicato un tempo per poterli recuperare. L'analisi della realtà è fondamentale per poterla sostenere, affrontare e vivere appieno...sono sempre più convinta che la disciplina personale sia una grande forza per sentirci davvero sempre padroni di noi stessi e che ci prepari ad affrontar l'imprevisto in maniera matura ed equilibrata nel rispetto di una convivenza sociale civile che condivida un senso comune e non solo il proprio senso centrato intorno ai propri bisogni o peggio ancora ad ansie che possono essere affrontate utilizzando piccoli trucchetti e tecniche facilmente applicabili per tutti.

Avere in pugno il tempo è perdita dello stesso se non lo si orienta in spazi da rispettare.

mercoledì 10 giugno 2015

Non c'è gara, la vita vince sempre !

Era il giugno del 2012 quando "incontrai" per la prima volta la storia di Chiara. Un incontro provvidenziale, visto che da lì a poco avrei salutato per sempre il mio padre putativo, divorato da un cancro che lentamente e senza pietà lo ha mangiato dall'interno consumando il suo corpo ma rafforzando la sua anima e la sua immensa fede nel Signore Gesù Cristo.
Così, in quei giorni di congedo, in cui tutto sembra spogliarsi del superfluo e mirare dritto dritto all'essenziale, costellato di ricordi colorati annebbiati dalle lacrime di dolore ma al tempo stesso resi vividi e quanto mai pieni di sfumature colorate dall'imminente ultimo saluto e nell'assistere alla dolorosa e straziante trasfigurazione dalla vita terrena alla vita celeste, ecco che i social mi permettono di conoscere la storia di Chiara. Chiara nasce in Cielo, il 13 giugno del 2012 dopo aver scoperto di avere un carcinoma alla lingua le cui cure necessarie decide di rimandare per salvaguardare la vita che ha nel grembo: il suo piccolo Francesco. Ma quello che mi colpì della storia di Chiara fu, certo questo gesto coraggioso di mettersi da parte per servire la vita nascente, ma ancor più l'accoglienza che Enrico, il marito , e lei stessa ebbero nei confronti dei figli nati precedentemente, ognuno dei quali già dalle ecografie gestazionali avevano dato chiari segni di malformazioni che li avrebbero condotti poco attimi dopo la nascita alla morte. Hanno deciso di farli nascere per accoglierli nelle loro caldi ed amorevoli braccia ed accompagnarli verso la morte, verso il nuovo affaccio ad una vita ed ad un'esistenza in cui li avrebbero affidati al Signore. La sofferenza acquista un senso solo se illuminata dall'amore, altrimenti razionalmente è inspiegabile oltre che insopportabile. Chiara ed Enrico hanno amato i loro figli non pretendendo da loro nessuna soddisfazione personale, non aspettandosi nulla da loro, non proiettando mai su di loro vanità narcisistiche o prolungamenti del proprio ego, consapevoli che stavano rinunciando per sempre alla gioia di vederli grandi, ma servendo la vita a costo di mettere a repentaglio la propria. Il funerale di Chiara, dicono i media, assomigliò molto di più ad una festa che ad una triste dipartita. Ognuno dei partecipanti ricevette una piantina, simbolo di vita, gioia...Questa storia mi colpì così tanto che quando uscì il libro corsi subito ad acquistarlo per approfondire e conoscere meglio la psicologia di Chiara e del marito, per capire cosa, come quando e perchè si arriva ad annullarsi per permettere ad altri esseri umani di vivere, di venire alla luce e poi congedarsi dalla vita nelle braccia amorevoli dei propri genitori, nel valore di quella carezza che i bimbi morti in grembo per la stessa volontà dei genitori non potranno mai ricevere, perchè l'amore ha bisogno anche di fisicità, siamo umani, abbiamo cuore umano e la carezza di una mamma più di mille parole, più di mille trattati di pedagogia, più di idee riesce a dare un senso a quello che razionalmente è inaccettabile ossia il dolore e la morte. E lì ho avuto la certezza che quello che diceva un grande Santo, fondatore dell'Opus Dei, San Josèmaria Escrivà poteva essere realizzato, ossia che è possibile "Far affogare il male in un mare di bene"...a suon di piccoli passi possibili ( cit. Chiara Corbella Petrillo)..il mare di Chiara è diventato un oceano!